Il 14 settembre del 1321 moriva Dante Alighieri
14 Settembre 2023 pubblicato in Dantescamente
Il 14 settembre 1321 moriva Dante Alighieri, al quale è simbolicamente dedicata questa rubrica ed era quindi doveroso celebrare questo anniversario. Ma, come per tanti personaggi del passato, remoto, o recente, sorge una domanda: ma è davvero morto? Non fraintendete, la domanda non si riferisce ovviamente ad una sua impossibile sopravvivenza fisica, ma alla sua immortalità spirituale, lascito di una conoscenza universale, rappresentata dalla sua opera più conosciuta, quella Comoedia, che in futuro, per altrui esegesi, diverrà Divina e che oggi è patrimonio culturale dell’umanità, come la nostra amata Fiorenza, nella quale Dante, nacque e dalla quale ricevette solo ingratitudine, mentre egli ne rimase sempre profondamente innamorato. A riprova del suo immenso amore per la sua ed oggi nostra, città, ci piace citare i seguenti versi danteschi, che sono l’inizio del Canto XXVI dell’Inferno: «Godi Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mate e per terra batti l’ali e per lo ‘nferno tuo nome si spande….» Certo, parlare d’amore per la propria città, in un Canto dell’Inferno, può apparire assurdo, ma solo se interpretiamo questi versi, in modo superficiale. Scendiamo allora nel profondo ed analizziamoli meglio. Innanzitutto nel Canto XXVI dell’Inferno Dante, incontra Ulisse, che è l’esule per antonomasia e quindi come non vedervi in aspetto autobiografico? Ulisse dunque in questo canto va visto come metafora di Dante stesso e specchio dei sentimenti contrastanti verso la propria città, di chi come lui, si ritrova a dover vivere da esule. Dante, infatti, covava certamente rancore per la propria città, che lo aveva costretto all’esilio, come alternativa alla morte, ma come ogni Fiorentino doc sa, il rapporto tra chi è nato sulle sponde dell’Arno e la sua città, è indistruttibile e va oltre ogni logica, perché come dice Dante, appunto, Fiorenza, era talmente grande da essere conosciuta e temuta anche all’Inferno. Il Canto poi prosegue con la vergogna che Dante prova nell’aver incontrato all’Inferno cinque ladri, che, in quanto tali, hanno disonorato il nome della città. Ditemi se questo non è amore. Un esule che prova ed esplicita la propria vergogna, per il disonore patito dalla sua città, significa che la ama ancora profondamente malgrado ne sia stato deluso e tradito. Ed è questo amore viscerale per Fiorenza nostra, forse, l’eredità più importante che Dante, lascia ai posteri, aldilà della lingua italiana, codificata col “Del Vulgari Eloquentiae” o della conoscenza nascosta nella sua Comoedia. Sta a noi, Fiorentini di sette secoli dopo la sua morte dimostrare questo amore e fare sì che Fiorenza, torni a “Battere le ali per terra e per mare” e godere della propria fama che arriva fino oltre il mondo fisico penetrando ed illuminando persino le oscurità dell’Inferno, come se il diavolo stesso ne avesse timore.
Luca Monti