Karl Löwith “Significato e fine della storia”
4 Novembre 2024 pubblicato in Libri
Karl Löwith, nel suo libro intitolato: “Significato e fine della storia” edito da Il Saggiatore, descrive l’esigenza di attribuire un significato ultimo all’incessante scorrere degli eventi, che ha condotto il pensiero moderno ad individuare nella storia un progresso. Per il pensiero classico, invece, le gesta degli uomini seguono il corso dell’eterna ciclicità del cosmo; non il corso della rivoluzione sociale, quindi, ma della rivoluzione immutabile degli astri. Fra queste due visioni antitetiche della storia si colloca la prospettiva cristiana, che opera una rottura fondamentale: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non è racchiuso nel passato, ma in un futuro escatologico. Ma se il primo è in grado di portare la croce, il secondo secolarizza la speranza religiosa nell’incondizionata fede nel progresso, tanto “cristiana nella sua origine” quanto “anti-cristiana nelle sue conseguenze”. Il termine “Filosofia della Storia” risale a Voltaire, in contrapposizione ad una concezione teologica della storia e propone un’interpretazione sistematica della storia, alla luce di un principio che connetta i vari accadimenti. Il problema è la fondazione scientifica, alla base di tale principio, per molti impossibile e troppo simile ad una fede. In effetti per Lowith:
“La moderna filosofia della storia, trae origine dalla fede biblica in un compimento futuro e finisce con la secolarizzazione del suo modello escatologico.”
Vi sono dunque dei presupposti teologici alla fede laica nel progresso, che si possono meglio cogliere andando a ritroso nell’analisi dei vari autori. Solo una speranza ed una fede, infatti, rendono possibile il ricercare il senso ultimo della storia. Il fondamento biblico si coglie innanzitutto nel superamento della visione ciclica della storia, propria del mondo greco, alla ricerca di un telos che le dia un senso, un futuro escatologico da realizzare. Per i greci, invece, tutto avviene secondo un preciso Logos. Polibio, ad esempio intravedeva comunque un fine della storia, costituito dalla potenza mondiale di Roma, la quale però, era anch’essa destinata a scomparire come tutte le grandi potenze. Per Tucidide, invece, la natura umana non muta e ciò che è avvenuto nel passato, accadrà anche nel futuro e la storia, essenzialmente, non muterà mai. Tutte queste posizioni giustificavano quella possibilità di predire il futuro, anche attraverso gli oracoli, che gli ebrei affidavano solo a Javhè, che aveva in mano le redini della storia, essendo Dio assoluto. Toqueville, vedeva inarrestabile l’avanzata della democrazia, come frutto del fato e della provvidenza insieme, Spengler, invece ne: “Il Tramonto dell’Occidente” tenta di predeterminare la storia vedendo un ciclo vitale di crescita, fioritura e decadenza, per ogni civiltà storica, mentre J. Toynbee individua un ritmo ricorrente nel divenire. In un modo o nell’altro, tutti comunque si confrontano sulla possibilità di individuare nella storia un ordine, un telos, un escaton sul modello cristiano, quasi una bussola escatologica. Partendo da tale assunto Löwith, in questo suo libro, analizza i punti di vista di vari filosofi, cristiani e non, antichi e moderni, assegnando a ciascuno di essi, un capitolo specifico ed arrivando alla conclusione che: non si risolve il problema della storia sul piano storico ma non ci può essere una soluzione immanente, la storia sacra e quella profana sono quindi separate. La venuta di Cristo spezza il ciclo naturale della storia, ma essa non è solo un fatto straordinario, tuttavia, perchè in Cristo, Dio, si è rivelato in un individuo storico, Gesù di Nazaret. Storia politica e religiosa insieme, fu solo quella degli ebrei, si può fare perciò solo una teologia ebraica della storia. L’evento Cristico, più che una nuova epoca cristiana, ha portato l’inizio della conclusione della storia stessa, nella logica di un compimento futuro. La ripresa laica del concetto di compimento, è così cristiana nelle origini, ma anti-cristiana nelle conclusioni, dato che essa intende emarginare il dato della fede, l’escaton, che è stato secolarizzato, ma la ragione non riesce ad elaborare un piano significativo della storia, da qui la deriva in una rassegnazione. Il paradosso è, che la concezione di un mondo abbandonato è frutto solo di una secolarizzazione del creato opera del cristianesimo, che ha eliminato le credenze popolari negli dei. Tutto questo si può ancora comunque interpretare cristianamente, dato che il Regno di Dio, non è di questo mondo. Così le speranze dell’uomo sono cieche ed irrazionali, ma l’uomo non può stare senza speranza, perchè la speranza ci salva. La speranza del credente non può così mai essere sconfitta dai fatti della storia.