Incontro con Antonio Gervasoni alias Tashi Sufi, artista eclettico che si definisce un “viaggiatore della dimensione interiore”
19 Gennaio 2024 pubblicato in Libri, Philosophia e Poesia, Pillole d'Arte
Antonio Gervasoni in arte Tashi Sufi, nato in Franciacorta, nella provincia di Brescia, è un artista eclettico e si definisce un “entronauta” ovvero un viaggiatore della dimensione interiore. Ricercatore spirituale indipendente, coltiva da sempre la passione per lo studio comparato delle religioni e delle risposte che queste possono dare agli interrogativi più profondi della vita. È autore di numerosi diari di viaggio dedicati all’Oriente come Viaggi in divenire (2018, con una nuova edizione nel 2020) Anacoreta Metropolitano (2019) Entronauta (Volumi I e II, 2019) e Donne d’Oriente (2021, libro più Dvd). Nel 2023 ha pubblicato la raccolta poetica “Sconfinamenti” e ha iniziato a dedicarsi negli anni recenti anche alla pittura.
Lo abbiamo incontrato in occasione della conferenza dedicata al libro di Paramanhansa Yogananda “Autobiografia di uno yogi” che si è svolta il 18 gennaio presso la Biblioteca Allegri di Serravalle Scrivia (Al) e con lui abbiamo parlato del suo percorso spirituale e artistico, del suo concetto di “poetosofia cromatica” del futuro dell’arte e della poesia nell’era dei social media, delle prospettive del libro cartaceo e dell’editoria tradizionale in una fase nel quale per gli autori esordienti e per i poeti l’auto-pubblicazione sembra essere la via maestra per farsi conoscere.
Puoi raccontarci qualcosa del percorso artistico e spirituale che ti ha portato a diventare un “Entronauta”?
Molti mi conoscono come “Tashi Sufi” o come “Entronauta” (significa “viaggiatore della dimensione interiore”, n.d.r) come mi presento sui miei canali social. Da alcuni anni, avendo più tempo libero, ho iniziato a esercitarmi nella scrittura, nella pittura e oggi anche nella poesia, principalmente per il desiderio di condividere e di archiviare le mie esperienze di viaggio. La zona che amo di più è quella del continente asiatico, ho visitato quasi tutti i paesi, dal Tibet alla Cambogia al Laos, nel quale mi sono fermato nel periodo dei lockdown. Dalle esperienze di viaggio è nato alcuni anni fa il mio primo libro “Viaggi in divenire”. Con ogni viaggio si impara qualcosa, ci si trasforma. È tutto un divenire. Nel mio libro successivo, dedicato alla Cambogia, ho scelto il titolo “Anacoreta Metropolitano” per trasmettere il mio desiderio di comprendere e conoscere il mondo dal punto di vista non solo culturale, ma anche spirituale. Io amo conoscere il modo di vivere di queste persone, capire la loro devozione, entrare nei loro templi.
La mia vita ruota attorno a quelle che io definisco le quattro S: Stupore, Silenzio, Spiritualità, Sacralità. Sono come la cornice di un quadro, intorno al quale metto tutte le mie passioni. La pittura e la poesia sono sorte come interessi “naturali” una volta finito il racconto “alla Terzani”. Per l’anno prossimo, sto lavorando a una nuova mostra di pittura, non voglio copiare nessuno, voglio fare qualcosa di molto personale. La mostra si dovrebbe chiamare “Tracce di Permanenza” e per realizzarla intendo usare tecniche e materiali vari, dall’acquerello al disegno, a composizioni create con tecnica mista, destinate però ad essere poi distrutte, secondo la logica del Mandala.
La tua passione per l’Oriente nasce per caso o da una insoddisfazione verso lo stile di vista “materialista” e l’approccio alla spiritualità e alla religione di tipo “occidentale”?
Io mi sono fatto molte volte questa domanda, ma una vera risposta non me la sono mai data. Credo che questo faccia parte del mio concetto di misticismo e interiorità: non a tutto c’è una risposta, In passato ho cercato risposte più strutturate e dogmatiche, ora accetto il senso del mistero.
La mia esperienza di viaggio più forte, che mi ha segnato nel profondo, dopo alcuni paesi qua attorno all’Italia, è stata l’India. Un mondo tutto diverso, un Altrove nella spiritualità, nell’arte, nel cibo, nelle architetture, nei profumi, nei colori. È stato come un marchio della mia esistenza. Credo che la mia passione per l’Oriente sia da legare a uno stupore giovanile originario che mi sono trascinato con l’età. Dopo aver cambiato molte abitazioni, ora che da diversi anni mi sono fermato a Novi Ligure, ho costruito una sorta di “salotto” nella casa abbastanza spaziosa dove risiedo che chiamo “oriental lounge”. Se vado a una fiera o a un mercatino dell’antiquariato, mi trovo quasi spontaneamente davanti al banco degli incensi. Qualcuno legge la passione per l’Oriente, dal punto di vista filosofico, come il ricordo di una vita precedente in quelle terre. Io non ho mai sposato del tutto queste tesi, che pure mi affascinano molto: leggo tutto come la permanenza nel tempo del mio stupore giovanile.
È recente il tuo approdo alla poesia e alla pittura dalla scrittura documentaristica del diario di viaggio. C’è stata una causa scatenante di questo tuo nuovo interesse?
Nel mio libro Sconfinamenti racconto come ogni mattina inizi la mia giornata con uno spazio di almeno un’ora dedicato alla meditazione e al silenzio. Il silenzio permette di sondare terreni che sono oltre la quotidianità.
Le mie poesie, in questo libro sono 35, sono frutto di alcune mattine, di alcune “albe fertili”. È difficile restare in silenzio, liberarsi dai pensieri: quando accade, possono nascere poesie come queste, frutto di giornate iniziate in modo speciale, pensieri nei quali ho canalizzato la percezione di appartenere a qualcosa di più grande, un po’ alla Battiato per intenderci. Nel libro, agli scritti sono associate le immagini dei miei dipinti metafisici, che rappresentano quello che ho visualizzato durante la creazione e la scrittura delle poesie. Ho chiamato questo mio tentativo di fusione tra le arti “Poeteofia cromatica” perché la mia creatività nasce dall’unione di poesia, teologia e filosofia, per esprimersi nelle immagini e nel colore dei miei dipinti; per questo ho aggiunto “cromatica”. Un percorso creativo che è stato naturale, senza niente di forzoso.
Oggi la comunicazione è molto incentrata sul linguaggio iconico e immediato dei social media. Credi che per chi vuole fare arte e poesia oggi le nuove tecnologie siano soprattutto un’opportunità o che rischino di portare a un impoverimento del linguaggio?
Io non ho un grande rapporto con la tecnologia. Tutti parlano di uso e non di abuso dei social media, io di sicuro non ne abuso, li uso per far conoscere ai miei amici la mia creatività, e, se all’inizio erano tutti conoscenti, oggi ho contatti in tutte le regioni d’Italia fino alla Sicilia. Credo che riguardo al rapporto fra arte, poesia e social media dipenda molto dalle inclinazioni dell’artista: per chi li sa usare in modo divulgativo credo possano essere un’ottima opportunità. Io li ho utilizzati soprattutto per arrivare dove non sarei riuscito, senza aspirazioni particolari. Anche i miei libri, li stampo e li pago da solo, non ho mai cercato di pubblicare con i canali dell’editoria tradizionale. A 19 anni lessi in un libro di Bertrand Russell che una nazione avanzata avrebbe dovuto mandare i suoi cittadini in pensione a 50 anni (allora la vita media era inferiore ad oggi) per permettere loro di esprimersi. Io ho interiorizzato questa idea, l’ho fatta mia e ho cercato di ritagliare questo spazio per esprimermi appieno dopo i 60 anni. Continuo a fare qualche piccolo lavoro, e, con qualche risparmio da parte, ho cercato di mettere in pratica questa idea di Russell, e oggi sono appagato dal percorso estetico e interiore che sin qui ho seguito.
Hai detto di aver stampato i tuoi libri da solo. Una via che oggi scelgono anche autrici e autori esordienti molto giovani, sia autopubblicazione cartacea che quella digitale in e-book. Credi ci sia ancora spazio per il libro cartaceo in questo contesto? E qual è il tuo rapporto con il mondo dell’editoria tradizionale?
Questa domanda mi fa pensare alla copertina “Gommalacca” di Battiato: bisogna cercare di fondere il futuro con il passato. Credo che ci sia ancora molto spazio per il libro cartaceo e tradizionale, troppe persone amano ancora la sensazione di tenere un libro in mano. Quanto all’auto-pubblicazione, è sicuramente una grande opportunità, e tutto dipende dagli obbiettivi di chi scrive. Io sarei molto lusingato se una casa editrice mi contattasse per pubblicare i miei libri, perché potrebbe supportarmi nella divulgazione e nella comunicazione, ma non vorrei mai perdere in spontaneità e limitarmi in alcune cose che voglio trasmettere. Alcuni mi hanno fatto capire che nel mondo editoriale qualche compromesso è necessario farlo per ragioni d’immagine, e qualcosa effettivamente senza snaturarsi si può fare: ancora una volta penso alle copertine di Battiato, e alla sua idea di equilibrio.
Andrea Macciò