Si va verso la dismissione degli stabilimenti italiani di Stellantis?

19 Ottobre 2024 pubblicato in Attualità


Presi come siamo tra due fuochi per le guerre in corso ad est ed in Medioriente, è passato quasi sotto silenzio, l’annuncio di Stellantis, con il suo maldestro tentativo di celare quella che sembra ormai la dismissione degli stabilimenti italiani e si colloca in un quadro molto più ampio di una crisi economica ed industriale irreversibile, che da anni affligge l’Italia accelerando sempre di più quel processo di deindustrializzazione, che sembra ormai inevitabile. Ma questa tendenza, non riguarda solo Stellantis. L’abbiamo, infatti sperimentata già con altre grandi aziende come Whirlpool ed Ilva, che hanno visto una progressiva riduzione delle loro attività produttive in questo Paese, spingendo migliaia di lavoratori verso la disoccupazione. La politica, da parte sua sembra ormai incapace di fermare questo declino. Anzi, spesso è stata complice offrendo alle multinazionali come fu per la Fiat (ora parte di Stellantis) miliardi di euro di sussidi ed agevolazioni fiscali, senza mai imporre regole rigide, che garantissero la tutela dei posti di lavoro. In molti casi, si è limitata a “comprarsi” tempo con piani di cassa integrazione ed incentivi all’esodo mentre il cuore produttivo del Paese veniva delocalizzato in paesi come la Polonia, o la Serbia, dove i costi di produzione sono nettamente inferiori. Mentre il lavoro stabile scompare, la proposta di una legge sul salario minimo incontra una resistenza sorprendente da parte di alcune forze sindacali, come la CGIL. Secondo alcuni esponenti politici, tra cui Marco Rizzo questa resistenza deriverebbe dalla volontà di mantenere il proprio ruolo di mediazione contrattuale e di evitare che una legge imponga una soglia salariale minima che ridurrebbe la necessità di contrattazioni collettive. In altre parole, il salario minimo mina il potere negoziale dei sindacati, spingendoli ai margini. Anche gli imprenditori non vedono di buon occhio questa legge, preoccupati che l’imposizione di un salario minimo, possa erodere i margini del loro profitto, già provatI dalla scarsa competitività del Paese e da un costo energetico che a causa degli ultimi conflitti, è cresciuto a dismisura. Tuttavia, è proprio in questo contesto che emergono tutte le contraddizioni di un sistema che preferisce la precarizzazione del lavoro e la flessibilità, a scapito della dignità salariale esclusivamente per interessi che, a lungo termine, porteranno tutti ad affondare. Mentre l’industria svanisce, ciò che resta, è un Paese, destinato a diventare un grande parco giochi per ricchi. Il settore terziario soprattutto quello legato al turismo di lusso e ai servizi, continua ad espandersi a dismisura, mentre chi vive nelle città osserva impotente un aumento indiscriminato dei prezzi. Con la perdita dei posti di lavoro nell’industria e il conseguente impoverimento di quasi tutte le classi lavoratrici, il rischio è che l’Italia, si trasformi in una vetrina per un turismo dal portafogli gonfio. Con la speculazione sui prezzi, con ristoranti, alberghi e attività di lusso che proliferano nelle città d’arte, le persone meno abbienti faticheranno sempre più a sostenere il costo della vita rimanendo esclusi dai benefici economici del turismo, mentre gli aumenti dei beni di prima necessità e dei servizi pubblici graveranno pesantemente sulle loro finanze. Questa trasformazione del Paese lascerà spazio a una polarizzazione sempre più marcata tra una classe ricca ed un’ampia fascia di persone costrette a sacrifici sempre maggiori. La politica sembra non avere soluzioni a questa spirale e incapace di risolvere questi problemi, si perde su questioni marginali o slogan politici: dal politicamente corretto all’immigrazione, passando per ogni altro aspetto che non ha alcun impatto reale sulla vita quotidiana delle persone. Impegnati a discutere di ideologie vuote, i politici sembrano non voler affrontare la realtà di un Paese, che si sta sempre più impoverendo. La retorica si sostituisce all’azione, mentre i problemi veri – come la crisi occupazionale e l’aumento delle disuguaglianze – vengono ignorati o peggio, mascherati con politiche di facciata utili solo alla propria poltrona.

Grigorij Andreevic Iandolo





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