Ieri si è celebrata la memoria dei caduti di Nassiriya

13 Novembre 2024 pubblicato in Italia


Il 12 novembre del 2003 diciannove italiani tra militari e civili, persero la vita a Nassiriya, in una devastante esplosione. Un camion pieno di esplosivo si scagliò contro la base italiana “Maestrale” di stanza in Iraq spazzando via vite, sogni e speranze di decine di famiglie distrutte da quell’avvenimento e lasciando l’Italia intera incredula di fronte a quella strage. Quell’orrore avvenne nel contesto di una missione che era stata presentata come un’operazione di “ricostruzione e pacificazione”. Ma dietro quelle parole si nascondeva un’altra verità: l’Italia era coinvolta in un conflitto impopolare, una guerra che aveva già sollevato molte perplessità. A distanza di anni, quei diciannove morti, impongono di riflettere ed interrogarsi sulle scelte che li portarono in Iraq. La guerra in quel Paese, era iniziata pochi mesi prima esattamente nel marzo del 2003. Il pretesto che poi si rivelò una menzogna, era il presunto possesso di armi di distruzione di massa da parte del governo di Saddam Hussein, armi che poi non furono mai rinvenute. Quella bugia divenne la scusa per un intervento devastante, mascherato ancora una volta dall’Occidente come una crociata per la libertà. L’Italia, sotto il governo Berlusconi, si unì alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, aderendo a una missione che celava interessi geopolitici più grandi, lontani dai reali bisogni del nostro Paese. L’Italia, infatti, non andò in Iraq, per scelta propria, ma per fedeltà ad un’alleanza. Un allineamento acritico che la trascinò in un conflitto già segnato dal caos, dove parole come “pace” e “ricostruzione” servivano solo a coprire il fragore delle esplosioni. Dietro i numeri di Nassiriya, ci sono i volti di quei militari partiti per senso del dovere, giovani uomini che speravano di fare la differenza in un Paese devastato dalla guerra. C’erano persone che avevano lasciato a casa le loro famiglie, promettendo che sarebbero tornati presto. E poi c’erano i loro cari, che in quel giorno d’autunno ricevettero una telefonata che nessuno dovrebbe mai ricevere. L’Italia, li ha chiamati eroi, e lo erano davvero, per la dedizione e il coraggio con cui affrontarono quella missione. Ma bisognerebbe chiedersi: erano pronti per quel compito? La risposta è amara come è purtroppo amara , la presa di coscienza che non si trattava di una missione di pace. Le forze italiane, animate dalle migliori intenzioni erano però vulnerabili, mandate in un contesto di guerriglia che non era stato valutato a fondo. La base di Nassiriya infatti, non era adeguatamente protetta essendo la missione italiana priva di un reale piano per affrontare una situazione così complicata. A distanza di ventuno anni, Nassiriya, lascia dunque un’eredità pesante che nessuno sembra ancora aver compreso. Il dolore e il dubbio che quei sacrifici potessero essere evitati, si sovrappongono a domande rimaste senza risposta. Le cerimonie ufficiali ed i momenti di raccoglimento non bastano ad onorare quei caduti. Onorarli dovrebbe significare, infatti, riflettere sulle scelte che li portarono lì, sulle decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza ed avallate dai politici italiani con estrema leggerezza. E’ doloroso constatare come ancora oggi, l’Italia, sembra incapace di fare scelte migliori, e dire di “no”. Oggi i nemici sono altri: la Russia, la Palestina, e i soliti Paesi etichettati dagli Stati Uniti, come “stati canaglia”. Il sacrificio dei caduti di Nassiriya, dovrebbe, invece, imporre ai governanti italiani una maggiore responsabilità, ed un’analisi seria di ogni “missione”. Il nostro Paese, invece continua ad allinearsi ciecamente alle necessità degli Stati Uniti e della NATO accettando senza troppe domande di entrare in dinamiche geopolitiche che non ci appartengono. La creazione di falsi nemici alimentata da interessi esterni, trascina l’Italia, ancora oggi, in conflitti diplomatici, economici e potenzialmente militari che poco hanno a che fare con la sicurezza o gli interessi nazionali. Le dichiarazioni di politici ed alti ufficiali delle Forze Armate, mostrano quanto la politica estera sia, invece, subordinata. Che si tratti di interventi in Medio Oriente, di sanzioni contro Paesi con cui l’Italia ha storici legami commerciali, o dell’invio di armi in teatri di guerra dove non c’è una reale influenza, il modello rimane sempre lo stesso: seguire, mai guidare. Tutto questo ci fa capire quanto poco l’Italia, possa decidere del proprio destino e su quanto sia disposta a sacrificare, spesso inutilmente, per compiacere i grandi alleati. I caduti di Nassiriya, meriterebbero di essere onorati con una politica che metta al centro gli interessi del Paese che hanno servito ed il rispetto di tutti quelli che indossano una divisa e sono caduti per la loro Patria. Continuare a ripetere gli stessi errori non è solo irresponsabile, ma è un tradimento verso la loro memoria e verso tutti gli italiani. Tradimento ancora più grave, se si pensa che ventuno anni dopo, qualcuno, ha ancora il coraggio di inneggiare a quelle morti, per contestare le politiche del Governo, o per altri motivi comunque pseudopolitici, scrivendo frasi oltraggiose, come quella di Ascoli, cui si riferisce la foto di copertina e a corredo dell’articolo prontamente fatta cancellare.

Grigorji Andreevic Iandolo





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