Perché usare l’Italianissimo Dante Alighieri per “strane” rivendicazioni?
3 Settembre 2024 pubblicato in Dantescamente
La Croazia, nel periodo estivo, non è nuova, a stravaganti rivendicazioni storiche su personaggi italiani una su tutte la pretesa che Marco Polo, non fosse, appunto, italiano, ma croato, tanto da realizzare proprio nell’agosto del 2012 un museo a lui dedicato nell’isola di Korcula (Curzola in italiano), in Dalmazia dove nell’anno 1254, secondo alcuni studiosi croati, sarebbe nato il famoso mercante ed avventuriero veneziano. Così anche quest’anno dall’altro lato dell’Adriatico, è partita, alla vigilia di Ferragosto un’ulteriore rivendicazione da parte del Vice Sindaco di Pola, Bruno Cergnul. Stavolta non si tratta della pretesa della cittadinanza croata di un personaggio storico italiano, ma della richiesta di riavere indietro un busto di Dante Alighieri, che venne portato in Italia, nel secondo dopoguerra dai profughi dalla Dalmazia ed oggi apposto sulla facciata dell’Arsenale di Venezia, cui si riferisce la foto di copertina ed a corredo dell’articolo. Come preventivabile, si è scatenata la polemica, rilanciata da un comunicato stampa dell’Accademia di Alta Cultura, a firma del presidente Giuseppe Bellantonio. Ecco il testo del comunicato:
“Una notizia apparsa sui mezzi di informazione alla vigilia di Ferragosto, riportava, “L’accorato appello di Bruno Cergnul, vicesindaco di Pola, di riavere il busto di Dante, apposto sulla facciata dell’Arsenale… di Venezia” Lo dico con franchezza, la notizia, ufficiale e riconducibile a una ‘accorata’ esternazione di un vicesindaco la cui origine è certamente italiana, e che in loco rappresenta proprio le sensibilità e le possibili istanze della minoranza Italiana di Pola, ha suscitato in me una certa curiosità ma anche sorpresa e meraviglia. Ammetto che, per rinfrescare la memoria, sono riandato indietro all’immediatezza di un dopoguerra più che sfortunato per le popolazioni Italiane del Nord-Est, e in particolar modo quelle di Istriani, Fiumani e Dalmati, ricche di amor patrio e di un forte radicamento alle tradizioni, ai ricordi, alle fatiche, spese per generazioni nel segno di una schietta italianità. Eh sì! Perché è impossibile non ricordare che proprio quelle terre, costituirono momento di vero e proprio cruento baratto tra gli Alleati, vincitori della II° Guerra Mondiale e il tetro regime che in Jugoslavia era sottoposto a Josip Tito e ai suoi esecutori qual’era Milovan Dilas. Come non ricordare la vera e propria persecuzione etnica che subirono pesantemente e drammaticamente le popolazioni Italiane, che risiedevano in quelle terre, i cui uomini avevano versato il loro sangue per l’Italia. Come non ricordare il cruento, canagliesco, sterminio, degli Italiani di tutte le età, il cui numero probabilmente, pecca tuttora per difetto, infoibati per mano di bande civili e militari Jugoslave, uccisi sì per feroce odio etnico ma anche per derubare quella povera gente di terre, case e beni personali costringendola all’esilio. Bande cui si unirono, con pari efferatezza, anche miserabili, infami, Italiani altrettanto violenti, ladri e sanguinari, che forti della forza delle armi e vantando spesso la loro dichiarata appartenenza a bande pseudo-partigiane, saccheggiavano, stupravano ferocemente, uccidevano senza pietà, anche consumando vendette per antiche invidie o rancori prescindendo così da altre motivazioni di tipo etnico e/o politico. E come non ricordare anche le questioni e le tensioni legate alle nostre amate ed italianissime città di Trento e Trieste. Nel rispolverare vecchi testi ho ritrovato il Trattato Dini-Granic intitolato: “Trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Croazia concernente i diritti delle Minoranze; Zagabria, 5 novembre 1996” che all’Art. 3 recita “Tenendo conto dei documenti internazionali rilevanti accennati nel preambolo, la Repubblica di Croazia, nell’ambito del suo territorio, si impegna ad accordare alla minoranza italiana l’uniformità di trattamento nel proprio ordinamento giuridico al più alto livello acquisito; questa unitarietà può essere acquisita attraverso l’estensione graduale del trattamento accordato alla minoranza italiana nella ex zona ‘b’ sul territorio della repubblica di Croazia tradizionalmente abitato dalla minoranza italiana e dai suoi membri”. Leggendolo, mi è sorta una domanda: l’esternazione con toni ‘accorati’ di Bruno Cergnul, vicesindaco di Pola, intesa a ottenere la restituzione’ del busto di Dante, allora portato in Italia dai profughi e oggi collocato in una nicchia sulla facciata dell’Arsenale a Venezia, al pari di ogni azione della vita quotidiana, ha delle motivazioni: ma di quale tipo? Credo poco a una boutade personale: quindi, l’antico quesito “cui prodest” si pone, proprio per voler risalire alle pulsioni che possano aver mosso il vicesindaco Cergnul, a formulare la particolare richiesta fors’anche potenziale causa del possibile rinfocolarsi di polemiche e idonea a riaccendere dolori mai sopiti. Lo ha fatto per motivazioni squisitamente di tipo ‘culturale’? Come “stava qui” e “qui“ deve tornare? Voglia cortesemente chiarirlo. Lo ha fatto per motivazioni ideologiche, fors’anche di segno politico, personali e/o collettive? Anche in questo caso, voglia cortesemente chiarirlo. Lo ha fatto per una motivazione di tipo sociale, o per captare la possibile benevolenza di una qualche ‘parte’? Sia cortese nel chiarirlo. In ogni caso di norma, per aderire a una qualsiasi richiesta, è buona norma verificarne lo spessore e le reali motivazioni che possano rendere il richiedente credibile e meritevole di attenzione, piuttosto che i contenuti della richiesta stessa; nel particolare, una tematica fatta di pesi e contrappesi: impossibili da ignorare. Proprio riandando all’Art.3 sopra menzionato è notorio, infatti ed il vicesindaco, proprio perché rappresentante in loco della minoranza italiana, non può non sapere, come alcune parti essenziali dello stesso siano tuttora disattese, e non certo da parte Italiana. Ad esempio sono cadute nel vuoto le richieste di parte Italiana di dar luogo a una doppia toponomastica tanto negli atti istituzionali che nelle cartine; l’utilizzo anche della lingua Italiana nelle indicazioni descrittive dei luoghi di interesse turistico e naturalistico; l’applicazione della legge croata che stabilisce ‘Il diritto all’educazione e istruzione nella Lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali nella Repubblica di Croazia’, come pure per quanto riguarda l’applicazione concreta delle ‘modello C’, ovverosia ‘l’insegnamento viene svolto in Lingua croata, ma un monte ore che può variare da due a cinque ore settimanali, viene dedicato all’insegnamento della Lingua e della cultura della minoranza nazionale nello specifico Lingua e letteratura, geografia, storia, arte musicale, arte figurativa’, che, è di tutta evidenza, includa l’utilizzo e il rispetto della lingua italiana. Quindi, parlando un linguaggio piano e rispettoso verso il vicesindaco, chiederei se sia per lui ‘normale’ o meno, formulare richieste pretendendone attenzione e soddisfazione, mentre da controparte Croata, molte e più serie inadempienze di Atti ufficiali, formali ed istituzionali, restano irrisolte: nonostante il trascorrere del tempo. E ancora: se i profughi Italiani nell’abbandonare le loro case e le loro cose, ritennero di portare con sé ‘quel’ busto di Dante, fu perché esso era testimonianza di cultura, patria e libertà, Italiane: in esso fu anche riposto simbolicamente lo stesso affetto che si rivolge a un familiare, a un parente, trasmettendolo di mano in mano e ponendolo così in salvo da mani diversamente degne. Proprio la raffigurazione di Dante Alighieri, tra i massimi rappresentanti della Cultura e della Storia Italiane, non si poteva, infatti, lasciare nelle mani di chi tale Storia, tale Cultura, tale respiro antico, non rispettava ed anzi offendeva e combatteva aspramente. E ritengo che queste considerazioni, proprio alla luce delle motivazioni relative alla perdurante e tenace inapplicazione, di parte delle intese istituzionali tra Italia e Croazia, abbiano mantenuto la propria attualità. La stessa impossibilità di restituzione, si riverbera sul rilascio anche di una eventuale copia proprio di ‘quel’ busto di Dante. Dall’originale dovrebbe ricavarsi, infatti, un calco da poter lavorare: ma il calco, a contatto con l’originale ne trarrebbe un quid di immateriale ma esistente: un pezzo dello spirito di quella scultura, se vogliamo. Uno spirito meno peregrino di ciò che possa sembrare. La scultura in questione, così come ogni opera d’Arte, infatti, ha in sé la scintilla creativa dell’Artista che la concepì, e tale scintilla permea la scultura stessa. L’Artista in questione fu lo scultore, ma anche pittore, deputato, Direttore e Professore presso il Regio Istituto di Belle Arti di Roma, Ettore Ferrari: lo stesso dalle cui mani capaci ebbe vita anche la Statua di Giordano Bruno, collocata tuttora a Campo de’ Fiori, a Roma. Ferrari, i cui valori erano e sono ben noti essendo stati improntati nel segno degli Ideali di Tolleranza, Libertà e Fraternità, realizzò per la Città di Pola, un busto dedicato a Dante Alighieri, dando così testimonianza e corpo, ancorché simbolico ad alcuni celebri versi danteschi “Sì come a Pola presso del Quarnaro / Che Italia chiude e i suoi termini bagna.”. (Inferno, Canto IX, versi 113, 114). Certamente, anche l’Artista, non avrebbe accettato né gradito, né lo farebbe ora che la sua opera, con tutto ciò che in essa fosse ed è tuttora riposto e rappresentato, non fosse più nelle mani di coloro cui essa era stata solennemente destinata e quindi consegnata: autentici Italiani, dignitosi e di forte personalità, e non certo gente da ‘poco’. Opera Italiana, di uno scultore Italiano, fatta per la comunità di Italiani residenti allora a Pola, rappresentante anche un Autore e una Cultura unicamente Italiani. Egregio vicesindaco, se permette, posso darle un sommesso e rispettoso suggerimento; se proprio dovesse accontentarsi di un calco, ma non di ‘quel’ calco, non è meglio comprare un oggetto similare da qualche parte in uno dei negozi lì presenti? Potrebbe così dire ‘è mio’, è ‘nostro’, anche con enfasi: lo avrebbe infatti, acquistato con i suoi mezzi, e sarebbe veramente e totalmente ‘suo’. E se lo volesse potrebbe ancor più adoperarsi, con l’usuale vigore che le gocce di sangue Italiano che scorrono nelle sue vene, certamente le danno, per far sì che proprio la minoranza italiana presente a Pola, possa lì godere appieno dei propri diritti. E ciò con buona pace di Dante Alighieri, di Ettore Ferrari e delle sensibilità, affatto irrilevanti, di quanti allora subirono offese e violenze inenarrabili, e che dovettero abbandonare terre, case ed oggetti di famiglia, ma che non vollero abbandonare il loro simbolo di cultura e italianità, in territorio e in mani non italiane fors’anche insanguinate.”
Aldilà dei toni usati dal Dottor Bellantonio e degli argomenti “patriottici” e storici da lui portati nel comunicato, nei quali non ci addentriamo, non essendo di nostra competenza farlo, non possiamo tuttavia non concordare, con le domande che egli si pone. A chi serve, infatti, rinfocolare periodicamente polemiche, con richieste e rivendicazioni del genere, da parte delle autorità croate?