Analisi sulle elezioni in Georgia
30 Ottobre 2024 pubblicato in Mondo
Sembra che per l’Occidente ogni elezione, da qui fino a quando lo riterrà necessario, ed in qualsiasi Paese essa si svolga, debba rappresentare una scelta tra i propri “valori” e quelli della Russia. Due mondi che l’Occidente stesso ha voluto polarizzare, espandendo il proprio controllo politico verso un Oriente, che di questa morale ipocrita, così come delle accuse di “ingerenze russe” in ogni elezione, ne ha ormai le scatole piene. In questo gioco ideologico, anche le elezioni in Georgia, vengono viste come una prova di fedeltà: stare nella “giusta” democrazia occidentale, o cedere alla “cattiva” influenza russa. Ma le cose non stanno andando proprio come sperano a Washington e Bruxelles. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 la Georgia, come tanti altri Paesi ex-sovietici, si è gettata a capofitto verso l’Occidente, sperando nella stabilità e nella prosperità economica. Con la “Rivoluzione delle rose” del 2003,il presidente Mikheil Saakashvili ha guidato una trasformazione radicale del Paese, privatizzando ogni settore ed aprendo le porte ai capitali stranieri, promuovendo al contempo una deregolamentazione del lavoro nel nome di un progresso che doveva essere rapido e “liberale”. Ma quell’ondata di investimenti stranieri, più che una vera e propria crescita economica, ha creato nuove disuguaglianze sociali, una pressione ambientale devastante e una dipendenza crescente da chi vedeva la Georgia, solo come una nuova opportunità di profitto ed oggi come un nuovo terreno di scontro ideologico. Uno dei problemi più gravi scaturiti da questa “modernizzazione” è stato quello della gestione dell’acqua. Il tanto agognato “sviluppo” ha introdotto in Georgia, industrie, data center ed agricoltura intensiva, tutte attività ad alto consumo idrico senza preoccuparsi della sostenibilità. Ed è curioso come la sostenibilità ambientale, un “dogma granitico” quando riguarda i Paesi occidentali, sembri svanire altrove, dove appare evidente, che ciò che non è più possibile sfruttare in casa propria venga semplicemente trasferito in Paesi dove lo si può ancora fare. In Georgia, ogni viaggiatore nota che anche nei centri urbani, ci si trova spesso senza acqua, un segno evidente di come il progresso abbia ignorato la realtà del Paese. La scarsità d’acqua, anche nelle strutture più moderne, non è altro che il risultato di decenni di queste politiche industriali “importate” dall’Occidente, che divorano risorse idriche senza riguardo, comportandosi come se l’acqua fosse infinita ed ignorando la realtà geografica e quella delle infrastrutture, che dai tempi dell’Unione Sovietica, non sono mai state realmente ammodernate. In Georgia, il progresso calato dall’alto ha trasformato anche l’acqua in un privilegio, rivelando un paradosso che risuona in ogni rubinetto asciutto nella modernità imposta dai politici filo-occidentali. Nella tornata elettorale del 26 ottobre scorso, il partito del “Sogno Georgiano” ha ottenuto oltre il 50% dei voti, sconfiggendo l’opposizione filo-occidentale, rappresentata principalmente dal “Movimento Nazionale Unito” erede delle politiche di Mikheil Saakashvili. La leadership di Sogno Georgiano, guidata da Irakli Kobakhidze, ha anche portato avanti la legge sugli “agenti stranieri”, ispirata ad una normativa simile a quella russa, e che obbliga le ONG finanziate dall’estero a dichiararsi tali. Questa legge, è stata immediatamente criticata dall’Occidente, come una “minaccia alla democrazia”. Tuttavia, mentre Washington e Bruxelles, gridano al pericolo, in Georgia, molti vedono questa misura come un passo importante per difendere l’identità nazionale da influenze esterne spesso mascherate da “aiuti”. Ma è proprio qui che si svela il paradosso di una “trasparenza” a senso unico: sotto il nobile vessillo dell’aiuto, l’Occidente, ha trovato il modo di penetrare ogni fibra della vita nazionale di molti Paesi, non per solidarietà, ma per plasmare una realtà a propria immagine. Le ONG, col loro volto gentile e la promessa di assistenza, sono spesso il cavallo di Troia, di un’influenza che impone valori estranei, alimentando un progresso che poco ha a che vedere con i bisogni reali di quei popoli e molto con i bisogni dettati dall’agenda occidentale. Ogni intervento diverso, è così giudicato in modo unilaterale, ma la Georgia, ha riconosciuto l’ipocrisia di questo approccio e con questa legge, ha cercato di preservare la propria autonomia. Non si tratta solo di una restrizione, ma di una vera e propria barriera contro le influenze straniere. L’Occidente, paradossalmente, continua ad interpretare queste sfide come difficoltà “georgiane”, senza comprendere che è proprio il suo modello economico ad averle alimentate.
Le pressioni internazionali per l’allineamento della Georgia, al “pensiero corretto” non fanno altro che acuire queste tensioni. Ed anche le elezioni sono state viste come una scelta tra due “visioni di progresso” ma forse è il concetto stesso di progresso, il vero problema. Si tratta davvero, in Georgia, come altrove, di adattarsi a un modello imposto dall’esterno, o di trovare una strada dove crescita e identità possano convivere senza sacrifici ? La Georgia, come altri Paesi, infatti, legittimamente, non cerca un progresso che significhi snaturarsi, ma un cammino che rispetti un’essenza culturale viva e radicata. Alla fine, la Georgia non è semplicemente una pedina geopolitica, né un progetto dell’Occidente. È una terra di tradizioni millenarie che cerca, come molti altri Paesi, di mantenere integra la propria cultura, in un mondo dove la globalizzazione, è diventata sinonimo di omologazione. Se l’Occidente, imparasse a guardare oltre la propria lente di controllo, scoprirebbe l’ennesimo Paese, che non chiede altro che il rispetto per un cammino diverso. Fino ad allora, ogni dialogo sarà solo un monologo mascherato da compromesso e la vera comprensione, rimarrà un traguardo irraggiungibile. La Georgia, come altre nazioni dell’Oriente, non vuole essere spinta su una strada “corretta” ma intende difendere la propria autenticità. Fino a quando non sarà riconosciuto il diritto di ogni popolo a vivere senza pressioni esterne la propria identità, il dialogo rimarrà privo di vera comprensione ed i blocchi opposti, saranno inevitabili e sempre più granitici.
Grigorij Andreevic Iandolo