Il voto dell’Europarlamento: l’obbedienza che ci conduce sull’orlo dell’abisso.

21 Settembre 2024 pubblicato in Mondo


C’è un silenzio inquietante che avvolge l’Europa. Un continente che sembra aver dimenticato le lezioni della sua storia, i dolori e le tragedie della guerra. La recente decisione del Parlamento Europeo di inviare armi a lungo raggio in Ucraina dovrebbe turbarci profondamente. Un voto quasi unanime, interrotto solo da poche voci. Tra queste, lo Sinn Féin, il partito che da sempre lotta per l’identità e l’unità dell’Irlanda, una terra storicamente martoriata dal potere della corona inglese. Eppure, quelle voci dissenzienti sono come sussurri nel vento, destinate a perdersi nell’indifferenza generale di una democrazia che parla di guerra e mai di pace. Mi domando se non sarebbe più significativo abbandonare quei seggi in segno di protesta ,nel tentativo disperato di scuotere coscienze sempre più assopite e indifferenti. Ciò che mi inquieta ancor di più sono “i tiepidi”, coloro che si sono astenuti. In un continente orgoglioso delle sue radici cristiane, dovrebbe essere chiaro a tutti che l’indifferenza è uno dei peccati più gravi che le Scritture ricordano nel libro dell’Apocalisse: “Poiché sei tiepido, né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”. Ma l’Europa si lascia trascinare in una guerra che non le appartiene, seguendo ciecamente indicazioni che giungono da oltre l’Atlantico , attraverso quell’entità chiamata NATO. Gli Stati Uniti, spesso coinvolti in conflitti internazionali, impongono sanzioni e influenzano questo teatro globale. E l’Europa, priva di una visione propria, si accoda: chi per vassallaggio, chi per antiche diffidenze o sentimenti ostili mai sopiti verso la Russia. Il Vecchio Continente sembra aver smarrito la capacità di concepire una politica autentica, capace di incidere realmente sulla vita di milioni di persone, già segnate da anni di austerità e restrizioni. Ora si limita a seguire la rotta tracciata da Washington, quella di una guerra che pretende di portarci alla pace. Ma c’è un errore profondo in tutto questo, ed è quello di credere che la Russia sia un Paese come un altro, piegabile con qualche sanzione o sotto la minaccia dell’uso di armi sempre più potenti. La Russia non è una terra che si arrende facilmente. Non si piegò davanti a Napoleone, quando l’inverno e la tenacia del suo popolo sconfissero l’esercito più potente dell’epoca. Non si arrese ai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, sacrificando milioni di vite nella lotta contro il nazifascismo. È importante ricordare queste lezioni storiche ed il sacrificio di un popolo che ha dato un contributo decisivo per liberare l’Europa con 27 milioni di uomini e donne uccisi durante il conflitto. Pensare di piegare un Paese con una storia così intensa di sofferenza e resistenza non è solo illusorio, ma potenzialmente pericoloso. Vladimir Putin, figlio di quella storia, non sembra essere un uomo che bluffa.
Si racconta che durante il crollo del Muro di Berlino, quando la folla minacciava di invadere il consolato sovietico, rimase impassibile. Fece distruggere i documenti segreti e, armato, si preparò a difendere l’edificio. È questo l’uomo che si crede di intimidire con minacce e sanzioni? Illudersi che Putin stia bluffando potrebbe essere un errore fatale. Le recenti dichiarazioni delle autorità russe hanno espresso chiaramente la loro posizione riguardo all’espansione della NATO e al supporto militare all’Ucraina.
Hanno avvertito che fornire armi che potrebbero essere utilizzate per attaccare il territorio russo porterebbe a gravi conseguenze. Pensare che le potenze nucleari non possano ricorrere all’uso di armi di distruzione di massa nei conflitti locali è un’argomentazione insostenibile. Le parole del presidente della camera bassa del parlamento russo, Vyacheslav Volodin dovrebbero far riflettere tutta l’Europa per la sua cecità e le ombre cupe che gettano sul nostro futuro visto che, l’uso del nucleare non è più un’ipotesi remota. Se la Russia decidesse di ricorrere a queste armi, a subirne le conseguenze sarebbe l’Ucraina.
E allora, come reagirebbero l’Europa e la NATO di fronte a una tale escalation? Risponderebbero in nome di una libertà condita da una narrazione ormai non più credibile, portando il mondo alla distruzione?
E se dovessimo salvarci da questo scenario, rimane la consapevolezza della precarietà della sicurezza nel mondo moderno. Viviamo in un’epoca in cui apparecchi di uso quotidiano possono essere trasformati in strumenti di morte. “La possibilità che oggetti comuni diventino armi porta il terrorismo a un nuovo livello. Questa è una minaccia globale per tutti i Paesi, e le istituzioni internazionali devono agire altrimenti, nessuno potrà sentirsi al sicuro“ dice il Presidente della Duma. Mi ritrovo quindi a riflettere sul fatto che viviamo in un mondo dove anche la sicurezza è un’illusione, dove le minacce possono annidarsi ovunque. Pensare di poter essere uccisi da un cellulare che esplode come è successo in Libano, è davvero la fine di ogni certezza sullo stare al sicuro. Ma c’è una profonda ipocrisia, non solo politica ma anche spirituale, in quest’Europa che si ostina a seguire coloro che pensano di poter raggiungere la pace attraverso la guerra. Come possiamo parlare di spiritualità quando, invece di elevarci, ci lasciamo trascinare nelle bassezze dei conflitti, alimentando odio e divisione? Il paradosso è evidente, perché è improbabile che siano gli ideali di pace, ormai sbiaditi ricordi, né una spiritualità ridotta ad una vuota facciata a fermare la catastrofe ma forse, lo farà il denaro: l’unico vero dio che unisce miliardi di “anime” su questo pianeta. In un mondo dove tutto è subordinato al capitale, la vera paura dei potenti è la distruzione del sistema economico globale. Senza il mondo non c’è mercato, senza il mercato non c’è il profitto. E così, ironia della sorte, potrebbe essere proprio l’avidità umana a salvarci dall’autodistruzione.
Per chi percorre un cammino spirituale, la fine del mondo non dovrebbe nemmeno essere una tragedia insormontabile. Potrebbe essere vista come un ritorno all’essenza, una liberazione dai vincoli terreni.
Immaginiamo ognuno di noi, davanti ai propri dèi o di fronte a se stesso, mentre il pianeta brucia, tremanti nel tentativo di giustificare il proprio operato e le proprie scelte. Alcuni potrebbero esclamare: “Non io, Signore, quando ho fatto questo?”, cercando di discolparsi di fronte a Dio. Altri potrebbero pensare : “Tutto è un’illusione, la sofferenza nasce dall’attaccamento”, tentando di distaccarsi dalle colpe individuali nel ciclo del samsara. Altri ancora potrebbero giustificarsi invocando il karma collettivo che ci ha condotti qui, chiedendosi : “Ma qual è stato il mio dharma? Ho agito secondo il mio dovere?” E così tutti, tremanti e speranzosi, di fronte all’inesorabile. Ognuno a pensare di aver salvato se stesso, ognuno a giustificare un’esistenza alla ricerca di qualcosa che forse non ha mai trovato e che, nella vacuità, ha portato alla distruzione del mondo. Potrebbe anche risultare ironico , se non fosse così tragico e deprimente. Ma la vera tragedia non è la fine del mondo. È piuttosto morire in una terra che non senti tua, per decisioni prese da altri, per l’illusione di una libertà mai avuta davvero, per quell’arroganza di pretendere di dover cambiare il prossimo a tutti a costi quando si è stati incapaci di cambiare se stessi.
La fine del mondo non è l’Apocalisse temuta. La vera apocalisse è perdere se stessi, la propria identità, la propria dignità, per seguire un percorso imposto da altri, per sentirsi parte di qualcosa, dopo aver ignorato il fatto che siamo sempre stati parte del tutto. Ma l’essere umano è troppo arrogante ed egoista per rendercene conto. E questo, è davvero inaccettabile.

Grigorij Andreevič Iandolo





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