Un’inchiesta del settimanale tedesco “Der Spiegel” apre scenari inquietanti sulla situazione geopolitica attuale
25 Novembre 2024 pubblicato in Mondo
Nel periodo drammatico che stiamo vivendo dal punto di vista delle tensioni internazionali che sembrano arrivate ad un livello mai visto prima, ci sono storie che si nascondono, in attesa del momento in cui il velo si squarcia e mostra la realtà dietro le apparenze. Questa è una di quelle storie che ci mostrano ancora una volta, la vera natura di un Occidente pieno di retorica, bugie ed omissioni. Un’inchiesta del settimanale tedesco “Der Spiegel” – e meno male che esiste ancora un giornalismo che si prende il rischio di scavare – svela, infatti, un retroscena inquietante e rivelatore. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 non è stato il frutto di un’improvvisazione, ma di una missione pianificata nei minimi dettagli. Un’operazione che, stando a quanto emerge, avrebbe avuto il coinvolgimento diretto del presidente Zelensky e del comandante delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhnyi. Non un gesto isolato di disperazione, dunque, ma una strategia deliberata e finanziata con 300.000 dollari da un imprenditore legato alle forze speciali ucraine. L’operazione, denominata “Diameter”, avrebbe preso forma nella primavera del 2022. Un gruppo di sabotatori si sarebbe addestrato a Kiev, calcolando al millimetro ogni dettaglio: il tipo di esplosivo, la profondità del mare, le correnti. Il coordinatore della missione sarebbe stato Roman Chervinsky, un ex agente dei servizi segreti ucraini ora agli arresti domiciliari per un’altra missione fallita. E qui entra in scena un altro paese – non proprio inaspettato – : la Polonia. Secondo l’inchiesta giornalistica, le autorità polacche, avrebbero ostacolato le indagini tedesche e garantito un “tetto sicuro” ai sabotatori, impedendo loro di essere identificati e arrestati. Un comportamento che apre una nuova ferita nel già fragile tessuto della fiducia europea e di una parte del continente ostile in ogni modo ad una risoluzione pacifica del conflitto con la Federazione Russa. Le rivelazioni del settimanale tedesco, sono un frammento di verità che inquieta non solo per ciò che rivela, ma per ciò che sottintende: quanto ancora rimane nascosto e quanto ci viene raccontato quotidianamente, infatti, servono più a sostenere una narrazione ormai logora che a cercare la verità. E noi, da che parte scegliamo di stare? Avremo finalmente il coraggio di rompere questo specchio di menzogne ed affrontare la realtà per quella che è? Il Nord Stream, infatti, non era solo un gasdotto, ma il simbolo di un legame economico tra Europa e Russia, un canale che trasportava non solo gas naturale, ma anche un’idea di cooperazione.
La sua distruzione e la successiva inchiesta giornalistica rappresentano, dunque anch’esse qualcosa di più: un messaggio di rottura definitiva tra due mondi ed un colpo alle fondamenta stesse di un’Europa, che si proclama autonoma, ma che appare sempre più divisa e sotto pressione sia dall’alleato d’oltreoceano, sia da quei falchi europei che vorrebbero annientare la Russia. Questa inchiesta di Der Spiegel, solleva domande, impone riflessioni che pochi hanno il coraggio di fare e soprattutto ci mostra un’Ucraina – la “vittima eroica” di questa guerra – davvero disposta a tutto, anche a mettere in pericolo la stabilità energetica dell’Europa. E cosa implica per l’Europa, scoprire che uno Stato membro della NATO, la Polonia ha protetto i responsabili di un atto così grave? In tutto questo, l’Italia, sembra vivere in una realtà parallela, fuori dalle reali dinamiche della crisi. Mentre le notizie di Der Spiegel, infatti, scuotono i palazzi del potere a Berlino e Bruxelles, qui il dibattito si concentra sui miliardi stanziati per la NATO, quasi a voler dimostrare una fedeltà cieca ed assoluta, alla stessa. Nel frattempo, le prime pagine si riempiono di storie fantastiche: maestre d’asilo ucraine, che abbattono missili russi, come se chiunque potesse essere in grado di compiere un’azione del genere, senza aver mai sparato un colpo in vita sua, Putin che “alza il livello” con minacce nucleari ed una narrativa complessiva, che sembra più attenta a costruire eroi e mostri che ad investigare sulle cause profonde di questa crisi. E quelle radici affondano nel 2014, con le promesse disattese degli accordi di Minsk, con Kiev, che aveva accettato gli impegni sulla carta, mentre sul terreno, la realtà era ben diversa, con le milizie ucraine, che continuavano a bombardare il Donbass alimentando una spirale di violenza che nessuna mediazione internazionale è mai riuscita davvero a fermare. E se altrove si cerca di fare i conti con questa eredità ingombrante, l’Italia, si presenta sempre più come un circo politico, dove le scelte si fanno per apparenza e il dibattito sembra lontano anni luce da una riflessione seria e matura su una crisi che rischia di travolgere l’intero continente. Non è più così difficile intuire chi abbia tratto beneficio dal sabotaggio del Nord Stream. Gli Stati Uniti, con il loro gas liquefatto che ora arriva a costi elevati nei porti europei, e quei settori dell’Ucraina e dell’Europa storicamente russofobi, che avevano tutto da guadagnare, nell’interrompere ogni legame energetico tra Russia ed Europa. Chi sta orchestrando questa guerra, dunque, appare più chiaro: parte dell’Europa sembra ormai recitare un copione scritto altrove, accettando di buon grado un ruolo da semplice esecutrice che ha smesso – semmai lo avesse fatto – di interrogarsi sulle reali conseguenze delle sue scelte dissennate. Quanto di ciò che leggiamo ogni giorno è verità e quanto è l’ennesimo tassello di una propaganda che, ormai, mostra le sue crepe? Il gasdotto non è solo un’infrastruttura distrutta, ma il simbolo di un continente fragile, incapace di guardare oltre le apparenze e di affrontare le sue contraddizioni. Nel rumore assordante di dichiarazioni e minacce, il vero pericolo è proprio questo: smettere di cercare la verità. E se questa verità, punta il dito verso l’Ucraina e la Polonia, quanto è disposta ancora l’Europa, ad ignorarla per non sgretolare i suoi precari equilibri e non scontentare l’alleato d’oltreoceano, sempre più padrone del destino del vecchio continente?
Grigorji Andreevic Iandolo